Uniti nella buona e nella cattiva sorte, certo: ma non solo su questa terra, bensì mariti e mogli anche in Paradiso.
A chiarirci le idee provvede il nuovo saggio di don Bruno Ognibeni, "Il matrimonio alla luce del Nuovo Testamento": dopo la morte é lecito contemplare tra moglie e marito solo la cessazione dei rapporti fisici, non di quelli affettivi.
L'autore é un autorevole studioso, docente di teologia Biblica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II.Ma ancor più sono autorevoli le fonti cui si abbevera: ciò che rispose senza tentennamenti Gesù ai Sadducei, che gli proposero l'esempio della donna andata sposa a sette fratelli, morti uno dopo l'altro.
"Quando risorgono dai morti, non prendono né moglie né marito, ma sono come angeli nel cielo", fu loro risposto da Cristo.
Aspetto questo, ripreso dagli antichi, dai Padri della chiesa, come Tertulliano secondo cui chi é sposato é destinato a mantenere anche nell'aldilà un'intimità spirituale col proprio coniuge, quanto dai moderni, anzi dai contemporanei, come Giovanni Paolo II, che, nelle sue catechesi sull'amore umano ha ribadito come i corpi coniugati conservino anche nella resurrezione il proprio significato sponsale, sia pure "vissuto in modo del tutto nuovo".
Tant'é che, in occasione della beatificazione degli sposi Beltrame Quattrocchi, papa Wojtyla spiegò con chiarezza come i due beati proseguissero in Cielo la serena vita di coppia, iniziata sulla terra.
In che forma? E' troppo da chiedersi a noi comuni mortali, oggi.
Tuttavia possiamo cullarci in questa, che ci viene proposta come una certezza: non vi sarà interruzione nell'unione delle anime, che tanto condivisero le proprie esistenze in questo mondo, quanto potranno condividere poi la propria eternità nel Regno di Dio.